Trevi un autore unico nel nostro panorama letterario
“Due vite” – Emanuele Trevi
I libri di Emanuele Trevi – quelli che ho letto almeno, più d’uno – rappresentano un genere letterario assolutamente singolare e di difficile definizione, non essendo facilmente inquadrabile in nessuno di quelli nei quali siamo di norma abituati a catalogare i libri che leggiamo.
Saggi romanzati, biografie romanzate, autobiografia articolata in più opere ma senza alcuna successione temporale ragionata ? Un po’ tutto questo, e altro ancora, connotazioni che fanno di Trevi un autore unico nel nostro panorama letterario.
Le vite degli altri, delle persone che ha amato e che per un motivo o per l’altro gli sono state vicine, sono lo spunto da cui sempre parte per inoltrarsi in percorsi narrativi che le indagano, scoprendo così lui stesso per primo quanto di quelle vite già gli apparteneva senza che nemmeno ne avesse consapevolezza, come si trattasse di un viaggio nella sua stessa memoria prenatale, e quanto invece ha introiettato e fatto suo, arricchendosi attraverso la frequentazione assidua di persone apparentemente molto distanti da lui.
Come già nel caso di Pietro Tripodo – poeta di assoluta grandezza misconosciuta da se stesso, sintesi ossimorica di un irrimediabile incapacità di adattarsi alla realtà e di un amore per la vita rimasto sempre sotto traccia, urtando egli sempre contro gli ostacoli che si creava da solo – tratteggiato in “Senza verso. Un estate a Roma”, Trevi ripercorre qui, senza pretese di esaustività e senza l’acribia priva di partecipazione emotiva che connota il critico letterario che svolge il suo onesto lavoro di recensione e catalogazione dell’autore di cui si sta occupando, la storia delle sua intensa frequentazione e della sua profonda amicizia (priva, afferma lui stesso, delle incursioni di Eros che in questo tipo di rapporti, tutto manda in rovina “quando ci mette lo zampino”) degli anni giovanili, per due scrittori – Rocco Carbone e Pia Pera – prematuramente scomparsi – Carbone in un incidente, Pera per una malattia autoimmune – in compagnia dei quali ha trascorso anni felici.
Persone diversissime tra loro.
Il primo spigoloso, pervaso da una specie di furia – che tracima ben presto in ossessione – per la riduzione all’essenziale della sua scrittura, obiettivo perseguito ostinatamente nonostante fosse evidente l’ovvio riverbero in negativo che questa ricerca di tipo quasi autistico avrebbe inevitabilmente prodotto sullo scarso successo editoriale delle sue opere (effetto da cui Trevi non mancava di metterlo in guardia, senza essere ascoltato).
L’esatto opposto la seconda, di una sensibilità e di una delicatezza estreme non prive di una speciale forma di umorismo, quasi del tutto avulsa dal reale, e proiettata in un mondo tutto suo, dove anche il sesso descritto senza alcuna reticenza, entrava naturalmente a far parte di una narrazione eterea, rincorrendo illusioni di cui parlava con totale ingenuità catturando sempre l’attenzione di chi la ascoltava.
Appassionata di giardinaggio, al suo giardino (“Al giardino ancora non l’ho detto”, l’ultimo suo lavoro) confidò per ultimo la sua malattia.
Trevi sta delineando , attraverso libri che parlano di altre vite, il percorso della sua educazione sentimentale: dagli altri ha preso il meglio, e il meglio di sé ha dato a loro.
Ed a noi, attraverso libri come questo, per me un piccolo capolavoro per il quale una vittoria al prossimo Premio Strega sarebbe tutt’altro che una sorpresa.