Il culto e le reliquie di Santa Placida a Capua
L’agiografia di qualsiasi santo, ovviamente riconosciuto dalla chiesa cattolica occidentale, è il risultato di un profondo studio storico e teologico, ma anche di una conoscenza altamente scientifica rivolta agli aspetti prettamente spirituali e sui “fatti miracolistici” eventualmente compiuti dal personaggio preso in esame.
I santi ed i beati, annoverati dal mondo cattolico, sono veramente tanti; per averne una idea basterebbe “scorgere” la corposità dei volumi della Bibliotheca Sanctorum. A questo variegato universo, però, se ne affianca un altro composto da santi, di estrazione “meridionale”, meno noti, le cui origini sono, spesso, oscure, se non del tutto ignote.
Si ricordano, al riguardo, figure come San Cono da Teggiano, acclamato in provincia di Salerno; San Cuono e figlio, patroni ad Acerra, nel napoletano; Santa Filomena di Roma, il cui culto è, invece, molto venerato a Mugnano del Cardinale, nell’avellinese, ma anche a Vaccheria di San Leucio di Caserta, dove, nella chiesa dedicata a Santa Maria delle Grazie, è conservata una scultura lignea in una teca, del 1844, che la raffigura nel momento della propria “passione”. In particolare, Santa Filomena, si inserisce nel ciclo cristiano delle sante vergini e martiri, a cui appartengono anche Rosalia, Ninfa, entrambe venerate in Sicilia, Venera, a cui è intitolata una chiesa ormai diroccata in Marcianise di Caserta, e Placida, il cui culto è stimato a Capua da almeno due secoli e mezzo.
Delle origini di Placida non si conosce, al momento, nulla, se non che fosse una vergine di Verona vissuta verosimilmente intorno al VI secolo d.C. La sua ricorrenza cade il 12 settembre, insieme a quella di San Guido (X secolo) e della Beata Maria Vittoria Fornari Strata (XVII secolo). Il suo culto venne promosso a Capua grazie ai Borbone, intorno alla prima metà del Settecento. La sua venerazione non è, però, molto diffusa nel resto d’Italia; difatti, sono poche le chiese e le cappelle a lei intitolate e queste si trovano, quasi esclusivamente, nella regione veneta.
Presso la Chiesa di San Gabriello a Capua è, intanto, esposto un prezioso scrigno settecentesco in legno intagliato e dorato, dal gusto rococò, al cui interno sono conservate le spoglie imbalsamate di Placida, la cui autenticità è confermata dalla chiesa locale. Nonostante, il pensiero moderno sia, il più delle volte, orientata a mettere in discussione la veridicità delle reliquie suddette come quelle di altri santi venerate dalla cristianità capuana, sicura è, invece, la devozione ad essa rivolta, a partire dai secoli addietro, nutrita dai fedeli capuani e da quelli provenienti dai casali circostanti.
Il fascino che emerge attraverso l’adorazione di sacri frammenti, appartenuti ad un qualsiasi personaggio morto in odore di santità, fa capo all’immaginario barocco, squisitamente campano, in cui si intrecciano retaggi pagani, credulità popolare, scienza alchemica e, soprattutto, riti ed evocazioni cristiane influenzate da precetti controriformati. Al riguardo, è opportuno ricordare un documento del Settecento, già edito da Francesco Nigro (cfr. S. Nicola La Strada nel secolo XVIII, 1982), in cui è riportato che:
“Il 24 aprile 1758, Agnello Pascariello ed Antonia Ciavattone, coniugi del casale di S. Nicola la Strada, attestano davanti al notaio Francesco della Peruta come da anni sette addietro Agnello fu sorpreso da una infermità di semiparalisi universale accompagnata con tremore di tutte le membre, che lo obbligava a portare le stampelle sotto le braccia per potere con quelle in qualche maniera abilitarsi a camminare, ed aveva bisogno di altra persona per fare qualsiasi azione e segnatamente per voltarsi per il letto la notte. Essendo venuti a conoscenza dei prodigi che giornalmente faceva iddio ad intercessione della sua serva Santa Placida esposta nella chiesa di S. Arcangelo Gabriele nella città di Capua, Agnello volle farsi portare ai piedi della santa il 15 aprile [dello stesso anno]. Ivi giunto, insieme a sua moglie Antonia pregò Iddio, che per mezzo della sua serva lo facesse sano. Egli attesta che in effetto dell’ora in poi si trova nel seguente stato: cammina appoggiato con il solo legno in mano con più facilità, e non porta più stampelle, il tremore appena il sente, si volta, e rivolta nel letto senza aiuto di altri, e da sano riposa e dorme. I coniugi dichiarano che tale miglioramento è avvenuto per intercessione di Santa Placida. Del loro attestato, fatto per gloria di Iddio, e della sua Serva Santa Placida, essi chiedono al notaio che si faccia atto pubblico”.
Scenario “barocco” di questo evento miracoloso fu, quindi, la chiesa di San Gabriello, che, nonostante sia tuttora poco visibile sia ai capuani sia ai forestieri, stupisce ancora per la sua inalterata semplicità architettonica e decorativa. L’edificio sacro, a cui un tempo era annesso il monastero delle carmelitane, è a navata unica e si caratterizza per la presenza di quattro finte cappelle sormontate da coretti a cui si accedeva dalla cantoria posta superiormente all’ingresso. L’interno è interamente decorato con stucchi rococò, da attribuire alla scuola del Vaccaro, mentre dell’arredo e delle suppellettili sacre non è rimasto più nulla. La facciata, invece, è definita da coppie di paraste e da un cornicione con timpano mistilineo come l’ampia finestra posta al di sopra dell’accesso alla fabbrica. Nel complesso, Santa Placida mantiene la grazia di una chiesa “picciola ma bellina”, così come la definì lo storico Francesco Granata ben più di due secoli fa.
Il presenta articolo è estratto dal libro “Terza pagina” di Daniela De Rosa, raccolta di articoli pubblicati sul mensile Block Notes diretto da Franco Fierro
Daniela De Rosa è insegnante di materie letterarie, giornalista pubblicista, autrice di numerosi saggi storici. Per diversi anni ha collaborato con la società Opere Mu.se.a alla Reggia di Caserta, occupandosi di didattica museale.