La Chiesa di Ognissanti o di San Leucio a Capua
ph: Franco Cucciardi
Di fronte al settecentesco complesso di Montevergine e nei pressi della storica sede dell’Arciconfraternita di Santa Maria delle Grazie, comunemente nota come “Santella”, sono ancora visibili i resti della chiesa di Ognissanti, intitolata anche a San Leucio. La fondazione di questo edificio risale al IX secolo, mentre il culto dei santi titolari ha origini paleocristiane e si fonde, di certo, con le prime affermazioni cristiane che avvennero entro l’area dell’antica Casilinum.
Purtroppo, di questa chiesa, le cui dimensioni sono modeste, non restano che poche tracce, consistenti in alcune colonne, sormontate da capitelli, risultanti, per lo più, materiali di spoglio provenienti da fabbricati di età romana. Ancora visibile è anche la sua pianta a navata unica terminante con absidiole.
Le sorti di questo edificio di culto non sono state favorevoli, poiché, oltre il suo abbandono, avvenuto nel corso dei secoli precedenti, si è verificata poi l’intera cancellazione del suo impianto architettonico, avvenuta a causa del nefasto bombardamento del 9 settembre del 1943.
Le poche notizie che si hanno in merito alla sua storica provengono maggiormente dagli studi di Francesco Granata. Fra queste, si evince che, nel 1116, fu rettore della chiesa un ecclesiastico di nome Roberto, mentre intorno agli anni Venti del XIII secolo, la medesima fabbrica venne inserita nel Decretale del pontefice Onorio III. Nonostante i pochi resti sopravvissuti della chiesa, alcuni dei quali riemersi a seguito di interventi di ristrutturazione condotti in tempi abbastanza recenti, ancora vivo a Capua è il culto di San Leucio, le cui origini sono antichissime.
La fama di questo santo ebbe luogo quando egli ancora era in vita, cioè intorno al IV secolo d.C. Leucio era nato ad Alessandria d’Egitto e giovane si era recato in Italia meridionale per poi fermarsi in Terra d’Otranto. Dal “Martirologio Geronimiano” è noto uno dei suoi più significativi miracoli avvenuti in Puglia: quello della pioggia. Essendo in corso un lungo periodo di siccità in tutto il “tavoliere”, il santo alessandrino invocò Dio per far giungere acqua in gran quantità e consentire, soprattutto, all’intera popolazione di riprendere le proprie attività legate all’agricoltura.
Il prodigio si compì e molte persone, la cui religiosità era ancora manifestamente pagana, si convertirono alla fede cristiana. In seguito, Leucio assunse l’incarico di primo vescovo di Brindisi, facendo istituire la diocesi e impegnandosi nella costruzione di una piccola chiesa da dedicare alla Madonna e a San Giovanni Battista; ivi venne poi seppellito.
A distanza di molti secoli, il suo culto venne rinnovato dai longobardi. Secondo una leggenda, intorno all’anno 768, gli abitanti di Trani si impadronirono delle sue reliquie che, in seguito, vennero recuperate da una armata di soldati longobardi, i quali, a loro volta, le condussero presso la Cattedrale di Benevento, dove ancora si conservano. Dopo questo episodio, il suo culto travalicò i confini pugliesi e la sua devozione si attestò in alcune cittadine del casertano e specialmente a Capua.
Oltre tale narrazione agiografica, è pervenuta anche un’altra leggenda riguardante il santo, la cui origine è espressamente casertana. Al riguardo, si racconta che San Leucio da giovane fosse un brigante e che era solito commettere omicidi, soprattutto quando aveva a che fare con persone che si frapponevano lungo il suo percorso delinquenziale. Dopo anni trascorsi a commettere ogni tipo di violenza e di nefandezze di vario genere, Leucio decise di confessarsi, ma proprio a causa del suo oscuro passato non riusciva mai a trovare alcun prelato disposto a dargli l’assoluzione per i peccati commessi. Fu la furbizia di un sagrestano, travestitosi da prete, che convinse Leucio a ricevere il tanto sospirato perdono. Entusiasta del dono ricevuto, decise di fare ritorno alla casa paterna, presso cui vi abitava, da tempo, soltanto la sorella. Una volta giuntovi, il redento Leucio temendo che la diretta congiunta potesse non accettarlo dentro casa decise di sostare davanti l’uscio, lasciandosi morire dal freddo e dalla fame. Il mattino seguente, la sorella aprendo la porta dell’abitazione ne riconobbe il cadavere del fratello e preoccupata di poter esser accusata di omicidio condusse il corpo nella propria cantina nascondendolo al di sotto di una botte di vino. Da quel giorno, il medesimo fusto risultava esser sempre pieno, poiché dall’ombelico di Leucio sgorgava vino a fiotti.
Svelato il miracoloso prodigio e sottopostolo all’attenzione della chiesa, non ci furono dubbi nel proclamare l’ex brigante un santo.
Il presenta articolo è estratto dal libro “Terza pagina” di Daniela De Rosa, raccolta di articoli pubblicati sul mensile Block Notes diretto da Franco Fierro
Daniela De Rosa è insegnante di materie letterarie, giornalista pubblicista, autrice di numerosi saggi storici. Per diversi anni ha collaborato con la società Opere Mu.se.a alla Reggia di Caserta, occupandosi di didattica museale.