Una riflessione di Nicola Purgato su “Ci diciamo l’oscuro” di Helmut Bottiger
“Ci diciamo l’oscuro. La storia d’amore tra Ingeborg Bachmann e Paul Celan” di Helmut Bottiger (Neri Pozza)
La grandezza di una storia d’amore non ha niente a che vedere con la sua durata. Si può anzi dire che esistono grandi amori che non sono stati mai vissuti, il che non toglie nulla alla loro grandezza. Quella tra Paul Celan e Ingeborg Bachmann è stata una grande storia d’amore, iniziata a Vienna nell’immediato dopoguerra, in maniera travolgente per sei settimane senza che i due, tra i più grandi poeti del Novecento, si siano quasi nemmeno dati il tempo di conoscersi, e continuata poi a distanza, e mai interrotta tra incomprensioni dissidi e recriminazioni, mentre ciascuno dei due viveva altre storie di cui rendeva partecipe l’altro, un tentativo di convivenza fallito a Parigi ed un successivo breve e sempre travolgente incontro a Monaco, cui seguì un nuovo e definitivo distacco.
Ma strettamente intrecciati alla loro relazione, che ne fu profondamente condizionata, furono il loro rapporto con la poesia ed i traumi da entrambi vissuti nel periodo bellico. Celan, nato in Ucraina da genitori ebrei, visse la tragedia della loro deportazione e del loro sterminio nei lager nazisti, evento che ne segnò la psiche in maniera irreversibile, e trasferitosi poi in Romania, fuggì ancora per sfuggire alle persecuzioni antiebraiche del regime comunista di Ceausescu, approdando a Vienna, dove incontrò la Bachmann ivi giunta dalla Carinzia alla ricerca della sua affermazione di giovane poeta emergente. Ma anche a Vienna l’atteggiamento ostile agli ebrei, retaggio della occupazione nazista, si respirava nell’aria, inducendolo a trasferirsi a Parigi, dove si affermò come poeta influenzando profondamente, sia pure a distanza, la Bachmann, e da dove intrecciò rapporti con i maggiori letterati e poeti dell’epoca.
La Bachmann era a sua volta rimasta profondamente segnata dalla dichiarata adesione del padre al nazismo, e dall’aver visto sfilare le truppe di Hitler sotto le sue finestre in occasione dell’annessione dell’Austria al terzo Reich. Il libro va ben oltre la semplice narrazione della storia d’amore tra i due, contenendo elementi di critica letteraria (l’autore è un importante critico letterario tedesco) e di carattere filosofico, che lo rendono anche un testo complesso e di lettura non sempre agevole. Ma tutto è sempre intrecciato al legame indissolubile tra i due poeti, che non finì mai, anche nel progressivo deragliamento delle condizioni psichiche di Celan, che, già minate dal trauma iniziale, scivolarono progressivamente in una forma di paranoia e di mania di persecuzione, sentendosi rifiutato in quanto ebreo – condizione che viveva al tempo stesso come macchia, senso di colpa e ostacolo alla sua accettazione nell’ambiente letterario soprattutto tedesco dell’epoca, e non riconosciuto – a torto, nella maggior parte dei casi – nella sua grandezza di poeta. La Bachmann non smise mai di sostenerlo, ma, a parte la parentesi di Monaco, non andò mai oltre, giacché Celan era sposato con la pittrice Gisèle de Lestrange da cui aveva avuto un figlio. Un legame nel quale non solo non volle mai interferire, ma che incoraggiò Celan a mantenere saldo, nonostante le sue condizioni rendessero la cosa sempre più difficile, intrecciando anche un legame di amicizia e profonda solidarietà con la donna con cui divideva l’amore per lo stesso uomo. Dopo un paio di ricoveri in manicomio, ed altre manifestazioni di profonda alterazione psichica, Celan si gettò nella Senna nella notte tra il 19 e il 20 aprile del 1970. La Bachmann morì tre anni dopo nell’incendio della sua casa romana di via Giulia, dove si era trasferita dopo la fine della sua relazione con lo scrittore austriaco Max Frisch, provocato da una sigaretta accesa con la quale si era addormentata.
Al suo legame con Celan dedicò molti passaggi del suo libro “Malina” scritto poco prima di morire, ed in particolare, raccontando di un sogno della protagonista che aveva anche molteplici riferimenti al suo controverso rapporto col padre, una frase il cui riferimento a Celan può essere colto senza grandi sforzi interpretativi:
“La mia vita finisce, perché lui è annegato nel fiume durante la deportazione. Era la mia vita. L’ho amato più della mia vita”.