“L’ippopotamo nella neve e altre vite ancora” di Cesare Cuscianna, una riflessione di Nicoletta Alaia
Esistono letture capaci di disporre la mente in una dimensione straordinariamente profonda, proiettandola ben oltre i confini di quell’orizzonte delle attese che il lettore insegue ad ogni svolta della trama.
Una condizione vicina a quella dell’uomo che vede i propri pensieri confusi nella nebbia della coscienza, affollata da immagini evocate ed evocative: potremmo dire che leggere queste pagine sia come sperimentare quel limbo preonirico, in cui le parole dell’autore fungono da trigger di immagini.
L’ippopotamo di Cesare Cuscianna è innanzitutto un doppio. All’inizio del racconto, il pachiderma non è solo, viaggia in compagnia di un suo simile, trasportato da una carovana turca formata da sei carri e ottanta uomini. Siamo nell’aprile del 1714, all’indomani della conclusione dell’ennesimo conflitto che vede Russia e Turchia contendersi il dominio del Mar Nero. I due ippopotami sono il dono del sultano di Costantinopoli allo Zar Pietro il Grande a suggello della stipula del trattato di pace. Un pegno materiale tanto massiccio per una pace tanto eterea. Il convoglio si muove incerto sulle nevi della steppa, rese vischiose dal tiepido sole in una Russia puskiniana. A giungere a San
Pietroburgo sarà solo uno dei due pachidermi. E il lettore dovrà rintracciare l’ippopotamo del titolo, affrancatosi dal suo destino, volutamente lasciato sospeso dall’autore tra le esili maglie della trama.
Il racconto procede in epoche e luoghi diversi da quelli dell’esordio. Incontriamo il protagonista, un giovane uomo di legge, un giudice che conosce l’ambiguità di certi linguaggi: «Nella doppiezza delle parole intuivo l’agguato ma l’indovinello della sfinge toccava a me scioglierlo». Sarà però con il linguaggio della mente e dei suoi processi che il giovane protagonista dovrà necessariamente misurarsi. Lo farà nel confronto con il padre. Poiché, «due uomini non sono mai pari, uno è sempre il padre, l’altro il figlio. Uno ascolta, l’altro parla, uno chiede l’altro beve, sorseggia, pensa e risponde» e da quel dialogo scaturisce il gioco dei «padri e i figli perduti nell’eternità».
Nell’assillo presente era emerso un bisogno lontano, annaspavo in un dubbio e poteva aiutarmi solo chi appartenesse all’età dell’infanzia. Della mia preistoria. Ma parlare con il padre, di quei tempi il custode più affidabile era impossibile. Da dieci anni ci scrutavamo da sponde troppo distanti ed i nostri messaggi non riuscivano a varcare il confine giunto a separarci per sempre, se non attraverso gli ambigui scenari del sogno.
Attraverso la pluralità delle prospettive, Cesare Cuscianna affascina e commuove il suo lettore che man mano dovrà arrendersi alla magia di una scrittura che si muove tra passato e presente, coscienza e rigurgiti interiori. E la magia, più volte evocata dalla voce narrante, si scopre essere quella delle infinite strade che la mente può intraprendere nel viaggio dei ricordi, risalendo lungo le pieghe della vita e delle relazioni interpersonali.
Io e lui sedevamo a un tavolo di legno, recupero di un falegname ingegnoso da traversine ferroviarie, impregnato di non so quali sali o sostanze avrebbe rivelato la sua origine persino a un cieco. L’antico odore di stazione persisteva, disorientandomi, a tratti credevo di essere non in quel posto ma in un altro, in altre epoche della vita.
Il racconto cambia la sua focalizzazione, ma il lettore, che inizialmente aveva seguito le orme pesanti dell’ippopotamo nella neve sciolta da una primavera lontanissima dai venti caldi della Rivoluzione, emblematica di un’infanzia della coscienza, si sorprenderà di ritrovarle ancora intatte su quelle stesse distese nevose, in un tempo infinitamente distante. In un’altra guerra, l’ennesima, seconda grande guerra del secolo breve, in un tempo in cui nella steppa il soldato resta solo, poiché «la solidarietà era scomparsa, ciascuno ascoltava la sua paura».
Alla fine del racconto il lettore scoprirà il vero doppio dell’ippopotamo evaso. E nella steppa, l’uomo, scorgendo la bestia, riconoscerà se stesso.
L’ippopotamo nella neve e altre vite ancora (L’Erudita)
di Cesare Cuscianna
Cesare Cuscianna ospite a Capua il luogo della Lingua 2022, intervista a cura di Mariamichela Formisano