L’agonia della parola nei quadri di Umberto Fabrocile in mostra a Capua
Giovedì 19 gennaio, alle ore 19.30, al Circolo dei lettori di Capua – Cose d’Interni Libri nell’ambito dello spazio dedicato all’arte di Capua il Luogo della Lingua festival, verrà inaugurata la mostra dell’artista
UMBERTO FABROCILE
L’AGONIA DELLA PAROLA
interviene
Luigi Fusco critico d’arte
Con le opere in mostra raccolte sotto il titolo Agonia della parola, Umberto Fabrocile continua, secondo il tempo della sua propria meditazione, un itinerario di ricerca di longue durée, itinerario di cui è tappa periodizzante – terminus a quo vien da dire – la mostra del 2003 Labirinti d’autore.
Il leitmotiv di Fabrocile è tema classico e dunque tanto più impegnativo da riattualizzare con originalità: il rapporto tra immagine e parola. Come d’abitudine, Fabrocile pone la propria opera sotto il segno della responsabilità. Responsabilità d’artista che chiede responsabilità d’interprete a chi ponga gli occhi sui suoi dipinti. Fabrocile sceglie stavolta immagini trite, che punteggiano la nostra quotidianità frettolosa e distratta, altrettante parole usurate, pronunziate o scritte per inconsapevole mimesi, spesso ricorrendo all’inglese formulare ed anodino. E questi corpi di significato ormai svuotati dall’abitudine, dall’inerzia, associa iniziando il suo scavo. La meta: un significato possibile, né dato né garantito.
Si badi: non è istanza moralistica quella che muove Fabrocile, il quale è sempre, tuttavia, moralista nel senso alto della parola, se moralista è chi sta nel proprio tempo coltivando il coraggio – come s’è classicamente scritto – di «discendere con una lanterna negli abissi della coscienza». Il pennello di Fabrocile entra come un bisturi – impugnato da mano sicura epperò aliena dal piacere sottilmente perverso che l’operazione di dissecare può conferire – in quella ferita irresarcibile che è lo spazio arbitrario dove s’incontrano significante e significato, corpi di parole e immagini significanti per convenzione. Natura stessa di ogni linguaggio, piattaforma di ogni società possibile: la convenzione è garante di coesistenza, ma quando inavvertita, subita, raggela il significato fino all’incomprensione, fino all’irresponsabilità conseguente.
La nuova impresa di Fabrocile ci pone di fronte alle varie possibilità del legame arbitrario tra cose e parole, e immagini. Ne denuncia la fissità esanime fino alla compressione in iconismi ripetitivi ed ottundenti: quando spediamo un emoticon in che misura inviamo un messaggio o in che misura riproduciamo una modalità predeterminata, sinanche prescritta? Ma Fabrocile ci pungola sottilmente ad altro. Alla possibile appropriazione (riappropriazione?) di quello spazio di libertà somma e perciò inquietante, possibile solo a patto di coniugarsi con atti di responsabilità: spazio garantito dall’arbitrarietà con cui diamo significato ai significanti, mettiamo le cose del mondo e della vita nelle parole e nelle immagini. Amore inventa e rischia. L’inventare a voi solo conviene…, canta Sandro Penna in una delle sue poesie più belle. E dunque inventa la poesia, inventa tutta l’arte, che non sta nei cieli superni, ma tra gli uomini; e ci esorta a non subire riecheggiando, più o meno incoscienti più o meno irresponsabili, significati logori o abusati.
Reinventare significati, dentro i confini di una socialità sostanziata di libertà abbracciata a responsabilità, pare dirci Fabrocile, con la sobria eleganza della sua pittura, è il rischio che più ci conviene.
(Oreste Trabucco)