Paolo Giulierini al Liceo Pizzi di Capua con “L’Italia prima di Roma”
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da il Mattino, servizio di Mariamichela Formisano
Nella città del “Capua il luogo della Lingua festival”, l’ex direttore del MANN ha detto: “Rischiamo di perdere valore delle parole: con gli emoticon torniamo all’epoca dei pittogrammi “
Un viaggio che parte da lontano, dall’Età del ferro, e che attraversa l’Italia per raccontarla attraverso la sua toponomastica, i monumenti, i reperti archeologici, le tradizioni etnografiche, le abitudini alimentari, le ricette dei popoli Italici che l’abitavano prima dell’avvento di Roma. Questo e molto di più è “L’Italia prima di Roma. Sulle tracce degli antichi popoli italici”(Rizzoli), l’ultimo libro di Paolo Giulierini, archeologo ed ex direttore del Museo Archeologico Nazionale di Napoli che ha incontrato gli studenti del Liceo Salvatore Pizzi di Capua, ospite del preside Enrico Carafa nell’ambito degli incontri promossi con il Capua il luogo della lingua festival, che con la direzione artistica di Giuseppe Bellone celebra da quasi vent’anni i linguaggi della cultura nella città del Placito Capuano.
E la pioggia di domande degli studenti, guidati dalle docenti Daniela De Rosa e Giovanna Ricciardella, ha entusiasmato Paolo Giulierini al punto da fissare l’incontro con gli studenti di Capua tra gli appuntamenti imprescindibili anche per le prossime e attesissime pubblicazioni.
Ma quale è stato l’approccio verso le giovani generazioni?
«Ho cercato di rendere il libro stimolante concependolo come un viaggio attraverso il quale si possono incontrare tante cose.
In primo luogo i nomi, che rimandano all’antico ed alle tradizioni locali. Pensiamo ad esempio alle squadre di calcio dell’Irpinia che si riferiscono sì alla città di Avellino ma che rimandano al lupo antico, in latino “Hirpus”, che era un animale totemico.
E poi c’è una ricerca sui monumenti, sulla cucina, sui tanti popoli che si sono stratificati nel tempo e che danno all’Italia questa dimensione di ricchezza che non ha nessuno».
Capua è il luogo della lingua italiana in virtù del Placito Capuano, primo documento scritto in volgare datato 960 d.C. E proprio qui, rispondendo alle domande degli studenti, hai fatto notare la circolarità dell’espressione scritta dal passato al presente, dai pittogrammi agli emoticon. Un raffronto che ha molto colpito i giovani.
«Sì, è stata una provocazione perché ritengo molto importante richiamare i giovani a quello che sta succedendo. Oggi il processo di semplificazione della comunicazione della lingua ha portato a riutilizzare una sorta di pittogrammi così come si utilizzavano migliaia di anni fa. Tutto questo da una parte semplifica e rende più efficace il messaggio, dall’altra impedisce di capire le varie sfaccettature, sfumature che la parola contiene in sé. Da qui l’importanza dell’utilizzo della scrittura. E se da una parte è bene non perdere quello che la tecnologia ci offre, dall’altra è necessario non inaridire la nostra cultura. Questo libro quindi è una sorta di inno alla moderazione, all’utilizzo coscienzioso di entrambi gli ambiti».
Da ex direttore del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, cosa ti stanno regalando questi incontri?
«Dietro ad una scrivania non mi è stato possibile fare quello che amo di più e cioè mediare, comunicare la cultura proprio a chi rappresenterà nel futuro la nuova Italia, ossia le nove generazioni. Questo libro mi sta offrendo l’occasione imperdibile di incontrare i giovani tra i 16 e i 18 anni, che sono come un magma che sta bollendo e al quale occorre dare sia la propria libertà sia la possibilità di acquisire strumenti culturali che lo rendano effettivamente libero di fare la propria scelta. E noi dobbiamo essere a loro disposizione».
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