

Una riflessione di Ottavio Mirra su “Padrenostro” di Sabrina Efionayi
La famiglia è un microcosmo, è la riproduzione in scala di ciò che si agita nel mondo, dei contrasti che vi allignano, dei sentimenti d’amore e di odio che al suo interno tumultuano, delle guerre intestine o dichiarate che si scatenano, delle furbizie, delle falsità.
La storia di una famiglia è sempre la storia del mondo.
In una Napoli che esplode nella festa collettiva per lo scudetto, la ventitreenne Elisa si aggira tra la folla, spaesata e combattuta tra il desiderio di partecipare ai festeggiamenti e il senso di colpa che questo desiderio le provoca. Ha appuntamento con la sua più cara amica, ma il loro incontro dura poco perché ha l’obbligo, per ferrea disposizione familiare, di rientrare a casa entro l’orario fissato. È un obbligo che non sembra pesarle particolarmente, in fondo la libera dall’operare la scelta di restare o rientrare. Rappresenta, come tutti gli altri doveri che le sono imposti e che emergeranno nelle pagine successive, una sorta di salvacondotto che le fa attraversare la vita apparentemente al sicuro, la allontana dalla tentazione della trasgressione.
Padrenostro, di Sabrina Efionay (Narratori Feltrinelli) è, prima di tutto la storia, parzialmente mutuata dalla realtà, della famiglia Caiazzo, dove regna un padre despota che trova la legittimazione al proprio comportamento padronale nel fondamentalismo religioso; è lo spaccato di vita all’interno di comunità religiose guidate da catechisti fanatici.
L’esergo e l’immagine di copertina rappresentano la sintesi perfetta del romanzo.
Nel primo, molto opportunamente, sono riportati due versetti della bibbia : ” Poiché egli conosce la mia condotta, se mi prova al crogiuolo, come oro puro ne esco… Alle sue orme è attaccato il mio piede, al suo cammino mi sono attenuto e non ho deviato” ( Giobbe cap. 23 – 10 e 11).
Nella seconda, una giovane donna sostiene una gabbia che la imprigiona. Le basterebbe un gesto per liberarsene.
“Padrenostro” è un romanzo politico e come tale si annuncia sin dal titolo, quest’ultimo ironico e polemico. Già dalle prime battute affronta, con linguaggio schietto e diretto, i temi del patriarcato e del fanatismo religioso così intimamente legati tra loro. Li affronta attraverso la narrazione di una quotidianità dalle varie sfumature, tutte inquietanti, a volte irritanti, più spesso sconvolgenti, in grado di scavare in profondità, di provocare sotterranee fratture nel tessuto dei rapporti familiari che erutteranno come magma lavico.
È sconfortante rilevare, pagina dopo pagina, quanto pesante sia il carico psicologico che la combinazione di questi due elementi sia in grado di produrre.
Vincenzo, il” padre padrone” dall’infanzia difficile, di quel periodo della sua vita conserva una frase:” Datti da fare, e se non servi a niente allora non sei buono a niente e te ne devi andare”.
Tutti in famiglia hanno l’obbligo di collaborare, ma solo secondo i suoi dettami, non sono ammesse deroghe o svaghi. La vita scandita da una rigida tabella di marcia che non ammette alcuna deviazione, pena l’ostracismo familiare e la brutale violenza fisica per riportare alla ragione chi ha sbagliato. Un binomio che getta nel dolore e nella disperazione più profonda chi ne è colpito al punto che, per recuperare i rapporti e poter essere riammesso, si convince della bontà del metodo educativo.
“È vero – risponde Elisa all’amica che le contesta l’atteggiamento paterno – a volte fa cose che nemmeno io so spiegare, ma mi concede di fare un tirocinio per il mio futuro“.
Questo clima oppressivo è alimentato, come sopra accennato, dalla assidua frequentazione familiare a gruppi fanatici di religione cattolica che si riuniscono dapprima in una parrocchia di Portici, e successivamente in un luogo privato; riunioni nelle quali i singoli membri rivelano pubblicamente i loro peccati (o presunti tali). La mortificante confessione, cui segue il perdono pubblico, vale come abiura e ha lo scopo di arginare la recidiva attraverso il controllo del reo da parte della comunità, ora conscia del peccato confessato dal singolo.
Com’è facile intuire, i peccati sono quasi sempre legati alla sfera sessuale, le pubbliche confessioni hanno per protagoniste per lo più ragazze adolescenti consumate dai sensi di colpa per le naturali pulsioni che avvertono.
Ma “Padrenostro” è anche e soprattutto la storia di un riscatto, non scontato date le opprimenti premesse; riscatto che passerà attraverso inaspettate trasgressioni, sensi di colpa, ripensamenti. È la storia di un percorso che porterà ad un’azione, drammatica e catartica, di definitiva liberazione.
Grazie alla scrittura secca e al linguaggio parlato e vero di Sabrina Efionay, immediata nel lettore è l’immedesimazione con la protagonista del romanzo, i dialoghi tra la ventitreenne Elisa e l’amica sono realistici e leggeri, con espressioni linguistiche tipiche dello slang delle nuove generazioni anche quando affrontano gli importanti temi di cui si è detto; circostanza quest’ultima che rende la lettura ancora più piacevole e coinvolgente.
Sabrina Efionayi è stata ospite alla rassegna Casertalegge Scrittori in città
