Capua il Luogo della Lingua Live Streaming con Enrico Ianniello: oltre 4mila visualizzazioni
Il primo appuntamento con il Capua il Luogo della Lingua live streaming ha dato il via, il 23 marzo scorso, ad un viaggio che continua sulla scia di quello che è stato sempre il festival dedicato ai linguaggi della cultura, dell’arte e della bellezza in ogni sua espressione.
Non solo un appuntamento promosso dall’associazione Architempo che dal 2005 alza il sipario una volta l’anno a Capua per celebrare i linguaggi nella città del Placito Capuano, primo documento scritto in volgare datato 960 d.C., ma un viaggio che dura e si rinnova tutto l’anno.
E in questo anno di “chiusure” e limitazioni che hanno sacrificato l’incontro reale, fisico, con la bellezza, il Capua il Luogo della Lingua non poteva non accettare la sfida di esserci, comunque, con un nuovo linguaggio, quello delle dirette social, del live streaming, che abbiamo imparato a conoscere meglio e ad usare quasi quotidianamente da oltre un anno.
Sfida accettata, quindi, all’insegna della bellezza targata cultura che è il nerbo, la spina dorsale della speranza, quella che, come le stelle, brilla ancora più forte quando intorno è buio.
Una bellezza fatta di storie, di persone, di cinema, teatro, musica, letteratura, luoghi che, mentre tutto intorno appare fermo, lavorano per accoglierci al meglio quanto prima, quando tutto tornerà ad essere possibile.
E dall’avamposto del Capua il Luogo della Lingua il viaggio nei luoghi della bellezza non poteva che iniziare con un amico storico del festival: Enrico Ianniello.
Casertano doc, formatosi alla Bottega teatrale di Firenze di Vittorio Gassman, Enrico Ianniello in collegamento dalla sua casa di Barcellona si è raccontato con generosità e simpatia partendo dall’ultimo successo ottenuto nei panni del dottore Modo nella fiction “Il Commissario Ricciardi” di Maurizio De Giovanni, record di ascolti di RaiUno con la regia di Alessandro D’Alatri.
Un successo che ti ha meritato l’etichetta di “sex simbol”?
“Evidentemente la mia interpretazione dell’antagonista di Ricciardi è piaciuta – risponde divertito – forse per quel modo diverso di affrontare la morte: Ricciardi, che con i morti ci parla, è più cupo, mentre Modo che pure con i morti ha a che fare essendo un anatomopatologo, ha maturato un modo diverso di guardare, godere e amare la vita. Ed è stato forse questa caratteristica che è piaciuta al pubblico, in un momento buio come quello che stiamo vivendo dove Modo ha rappresentato un caleidoscopio di colori e quella ventata di allegria che oggi più che mai è necessaria nonostante tutto”.
Quando hai incontrato per la prima volta il dottore Modo nei romanzi di Maurizio De Giovanni, premio “Placito Capuano” 2017? E che volto gli avresti dato se non fosse stato il tuo?
“Difficile dirlo, considerato che ad un attore, quando viene offerto un ruolo, vede solo la sua faccia e basta. In realtà nei romanzi di Maurizio De Giovanni il dottore Modo è descritto come un uomo più grande di età rispetto a Ricciardi, mentre tra me e Lino Guanciale che interpreta il Ricciardi televisivo ci sono solo nove anni di differenza.
Quando ho fatto il provino per il ruolo di Modo, avevo dato una lettura un po’ più cupa al personaggio, più vicina al romanzo che lo descrive come un antifascista impegnato, un medico che ha a che fare con cadaveri e autopsie, che si commuove. Poi il regista D’Alatri mi disse: “Bene queste caratteristiche, ma prova ad usarle al contrario: che siano grimaldelli di allegria, simpatia e giovialità”. E direi che è andata molto bene, è piaciuto al pubblico in un periodo dominato dal nero dei pensieri, delle preoccupazioni. Ed è piaciuto anche a Maurizio De Giovanni che è stato molto generoso con tutti noi che abbiamo dato un volto ai suoi personaggi”.
E cosa ha significato per te recitare “a casa”, nella fiction di punta Rai ambientata a Napoli, tra location individuate soprattutto in provincia di Caserta?
“Ha significato tanto. Ed è indescrivibile il valore aggiunto che il tornare a recitare nel “Luogo della Lingua”, la tua, ha donato alla mia interpretazione. Perché tira fuori un portato personale che è a prescindere da te, e regala sfaccettature e sfumature di un vissuto personale che possono passare solo attraverso la tua lingua. Anche il commissario Nappi che interpreto nella fiction Rai “Ad un passo dal cielo” è un napoletano, ma vive in Alto Adige e da quest’anno in Veneto, ed è tutt’altra cosa.
Ed è stato bello anche accendere i riflettori sulla nostra meravigliosa terra, ricca di talenti e bellezze che noi stessi conosciamo poco”.
In un momento in cui anche le fiction televisive hanno alzato l’asticella della qualità?
“Certo, sia perché è necessario competere con i prodotti delle piattaforme, sia perché con la crisi del teatro c’è stato un enorme travaso nelle fiction di attori provenienti dal teatro e dal cinema”.
E tra i progetti in tv, con il ritorno del Commissario Ricciardi in autunno e la nuova serie di “Un passo dal cielo 6” in onda su RaiUno, un film coreano girato in Marocco la cui uscita nelle sale è slittata a causa del Covid, Enrico non tralascia i suoi due grandi amori: il teatro e la scrittura.
E sul suo ritorno a Madrid nelle vesti di Domenico Soriano in “Filumena Marturano” di Eduardo De Filippo, dopo il successo registrato dieci anni fa con “Magic People Show” di Giuseppe Montesano, Enrico rivela un aneddoto divertente che intreccia il suo destino artistico in Spagna a quello del suo amico/collega casertano Tony Laudadio.
Intanto cresce l’attesa per l’uscita del terzo romanzo di Enrico Ianniello, dopo il romanzo d’esordio “La vita prodigiosa di Isidoro Sifflotin” nel 2015, con cui ha ottenuto il Premio Campiello, e “La compagnia delle illusioni” nel 2019, entrambi editi da Feltrinelli.
E sempre con la Feltrinelli è in arrivo un romanzo dedicato al piccolo Alfredino Rampi, scomparso a soli 6 anni il 13 giugno 1981 dopo essere rimasto intrappolato in un pozzo a Vermicino per tre giorni.
Una storia rimasta impressa nel profondo di ciascuno di noi e che tu oggi affronti per raccontarla a chi quei giorni non li ha vissuti?
“Esatto, ponendomi di fronte a quel “profondo” che quella storia ha scavato nell’anima della nostra generazione. Per guardarlo in faccia per quello che è: un pozzo che non risparmia la bellezza, l’infanzia, l’innocenza. Ecco il mio libro parte proprio da qui, per raccontare non la storia di Alfredino ma quella di un uomo dei nostri giorni che, per una serie di vicende, sente montare una strana inquietudine dentro di sé e si ritrova calato in quel pozzo nel tentativo disperato di salvare Alfredino. Ma lì troverà anche tutti i personaggi che sono stati importanti per la sua stessa infanzia. E Alfredino rappresenterà la sua stessa “grazia perduta” da tirare fuori da quel pozzo”.
Chi eri tu in quei giorni di Alfredino?
“Ero un bambino che, come tutti quelli della mia generazione, capiva poco in quelle ore di dirette tv e di genitori incollati lì tutta la notte, l’angoscia di fronte ad un pozzo e alla voce flebile di un bambino mai visto, se non ritratto in una foto sorridente ed in canottiera.
A toccarlo solo Angelo Licheri, l’operaio sardo che si offrì volontario per farsi calare nel pozzo artesiano nel tentativo disperato di salvare il bambino.
Ecco, Alfredino ha fatto sedimentare nel profondo della nostra generazione questo pensiero: si può morire pure a sei anni, può morire l’infanzia, la grazia, l’innocenza, la meraviglia, se non siamo capaci di non farle cadere in certi pozzi”.