La Caduta – Albert Camus, una riflessione di Nicola Purgato
Il 7 novembre 1913 nasce Albert Camus. Proponiamo una riflessione di Nicola Purgato su La Caduta, (Bompiani), un romanzo del 1956.
Un famoso e noto avvocato parigino, a nome Clamence, autentico principe del Foro, stimato da tutti ed uomo di grande successo, dedito per di più ad opere di beneficenza e che, questo almeno è dato capire dal racconto lungo di Camus, vive solo coltivando come piaceri privati l’alcool e le donne, passeggia una sera ad ora abbastanza tarda sul lungosenna deserto, come gli è accaduto tante volte, immerso nei suoi pensieri. Attraversando uno dei ponti sulla Senna, sente distintamente dietro di sé una risata come di scherno. Ma quando si volta per vedere da chi provenga quella risata sgangherata, non vede nessuno, pur essendo la visuale attorno a sé completamente libera, tale cioè da non consentire una rapida sparizione al misterioso autore dello sghignazzo.
Pur chiedendosi se si sia trattato di un fatto reale o di una allucinazione, Clamence non si sofferma più di tanto nella ricerca di una risposta all’interrogativo, perché, a partire da quel momento, come preso da una forza incontrollabile, egli inizia un autodafé totale, riavvolgendo all’indietro l’intero nastro della sua vita, di cui seziona e analizza ogni aspetto prendendo coscienza di come essa non sia stata altro che una recita, moralmente subdola e disonesta, per conquistare la più alta visibilità sulla scena pubblica parigina al solo fine dell’affermazione di un io ipertrofico fondato su un senso di superiorità e di malcelato disprezzo nei confronti di quelli stessi che lo ammiravano e lodavano. Decide quindi di abbandonare la sua professione trasferendosi ad Amsterdam, dove, in un locale di infimo ordine, “abborda” gli avventori, tra cui l’interlocutore silenzioso che lo ascolta per tutta la durata del suo monologo – lo stesso, si immagina, nella cui rete rimangono impigliati tutti quelli che si lasciano irretire nei suoi discorsi – nel corso del quale egli racconta di sé, del suo egocentrismo, del suo disprezzo per gli altri, e infine della grande e menzognera recita intessuta alla sua esistenza.
Ma il grande avvocato non fa tutto ciò per cercare di recuperare in qualche modo il tempo perduto, o perché egli sia realmente convinto che la sua impostura sia meritevole della massima esecrazione al punto di ricercare insistentemente, a mo’ di espiazione, le manifestazioni di disprezzo altrui. Nulla di tutto ciò: l’obiettivo che Clamence subdolamente persegue è quello di indurre gli altri a seguirlo nella sua confessione esternando a loro volta le piccolezze e meschinerie che connotano la loro vita come quella di di tutti, senza concedere loro alcuna speranza di possibile redenzione. L’essere umano, secondo Clamence (e secondo Camus) è così, esattamente come lui, e non c’è possibilità di redenzione alcuna, la sua sentenza è questa, ed è definitiva, la sua accusa riguarda tutti, a sé stesso per primo.
Con la sua caduta egli si è tolto la maschera che nascondeva la sua vera natura che però con questo non ha affatto deciso di cambiare. L’avvocato Clamence è sempre lo stesso, non ha alcuna intenzione di redimersi, semplicemente intende lanciare il suo atto di accusa contro tutti, a partire da sé medesimo, tutti chiamando a far parte della stessa confessione e della stessa caduta. Gli resta però un ultimo dubbio: anni prima, sempre sul lungosenna, aveva visto, su uno dei ponti sul fiume, una ragazza che si sporgeva pericolosamente verso il basso. Per un attimo aveva pensato di fermarsi, ma poi aveva tirato dritto, sentendo dietro di sé il tonfo sordo e cupo della caduta nel fiume.
Cosa sarebbe stato della sua vita se, invece, si fosse fermato ? Lo chiede all’interlocutore:
Pronunzi lei le parole che da anni non hanno smesso di risuonare nelle mie notti e che finalmente dirò per bocca sua: <<Fanciulla, gettati di nuovo in acqua perché io abbia una seconda volta la possibilità di salvare entrambi !. Una seconda volta eh, che imprudenza Supponga, caro avvocato, che ci prendano in parola ? Bisognerebbe decidersi … Brrr … ! l’acqua è così fredda! Ma rassicuriamoci ! Adesso è troppo tardi, e sarà sempre troppo tardi, per fortuna !>>.
Per fortuna dunque era troppo tardi per salvare entrambi, lui e la ragazza, e troppo tardi è ovviamente sempre, non c’è salvezza possibile.
Camus sviluppa qui ancora meglio che ne “Lo straniero”, il tema della unica verità assoluta che ci è dato di attingere: non dalla polvere, ma dal fango siamo nati, ed al fango tutti ritorneremo, la vita non ha alcun senso, e sforzarsi per apparire migliori è fatica sprecata. Un piccolo grande libro di uno dei più grandi scrittori di sempre.