“Anni felini” di Alessio Forgione, anatomia di un’attesa umana e animale per ricordarsi di essere vivi
Dice la scienza che i gatti non sanno riconoscerci come umani. Lo ha dichiarato il biologo inglese John Bradshaw dell’Università di Bristol dopo uno studio lungo 30 anni: i gatti ci credono uguali a loro, dei felini molto grossi e di certo un po’ più strani.
Lo sa anche Alessio Forgione che, attraverso le voci di una tribù di gatti, nel suo ultimo romanzo sceglie per gli umani un nome assai calzante: Papà gattoni. Sono papà gattoni Io, lo scrittore protagonista, e Daniele, il suo amico che di mestiere fa il dottore dei suoni e ogni giorno gioca con i denti bianchi e neri.
“È difficile pensare che un gatto possa chiamare pianoforte un pianoforte – dice Forgione in un’intervista – di certo lo farà in modo totalmente diverso.” Così anche la veterinaria diventa la signora delle siringhe e l’universo dei gatti si trasforma in un mondo di meraviglia e parole nuove.
I felini abitano la casa degli ulivi, si amano e ingannano la morte, ignorano il tempo perché non sanno fare altrimenti. L’opposto degli umani che, impantanati nell’esistenza, sembrano la loro versione impaurita, infallibili nella procrastinazione, incapaci di scegliere a quale luogo appartenere.
Ma la vita corre come la città delle chiese abbandonate, quella che non può più essere chiamata Napoli perché “nominare qualcosa è già farla esistere” e Napoli è un animale morente che ti stordisce, che mugola rabbia e solitudine. Ciò che la rappresenta è dentro le anime del purgatorio, gli ultimi senza dimora che forse “sono maschere” e concentrano “tutto lo sporco della città”, sono “i fantasmi della povertà futura”.
La letteratura desidera una Napoli tracotante e ricca, intrappolata nei suoi eccessi, ed ecco che Forgione la denuda attraverso le sue sottrazioni, uno storno iniquo che parte dalle vite.
Ciro Esposito, Davide Bifolco e Annalisa Durante sono alcuni dei pezzi che si staccano, cadono e precipitano. Perché se niente basta ad aggiustare, se il marcio ha già raggiunto la parte più profonda, se amputare l’arto è violenza inutile, allora non resta che prendere Napoli e toglierle il nome, negarle l’esistenza.
“La città delle chiese abbandonate – scrive Forgione – è per me quell’amore infelice che ti costringe a riprovare e riprovare perché non puoi fartene una ragione, e ogni volta che l’avvicini speri che se giocherai bene le tue carte, se sarai la versione migliore di te stesso, allora lei sarà l’amore vero”.
In questa frase, tra le più ispirate – e sì che il romanzo ne offre tante – il protagonista rivela l’analogia tra il rapporto con Napoli e un amore antico e struggente, anche lui senza nome. La ragazza dalla pelle trasparente è quell’amore impossibile da sradicare, perché vive nel presente cibandosi della giovinezza, quel momento della vita in cui ogni emozione è amplificata, forse irripetibile, per la capacità di saper monopolizzare il ricordo e deformare ogni visione del futuro.
Anni felini ripropone elementi da sempre cari a Forgione, come i personaggi somiglianti a quelli dei romanzi passati (l’amico Daniele che ricorda tanto Angelo de Il nostro meglio, e il protagonista senza nome che si porta dietro l’eredità di Amoresano), introducendo due novità.
Per la prima volta, Forgione si avvale di un narratore esterno e lo fa con uno stile atipico, fiabesco e vivido, una voce che pensa come i gatti eppure non appartiene a nessun gatto della casa degli ulivi.
Il resto della narrazione è nelle parole di Io, con la sua prosa tagliente e ormai riconoscibile, dove i personaggi si annientano nella perdita e annaspano in attesa di toccare di nuovo riva.
“Scrivo di gatti perché gli umani non mi piacciono più” dice l’autore, ed è questa la seconda novità. I felini fanno capolino nella sua narrativa con un passo felpato e discreto, reclamano accudimento ma solo ogni tanto, sanno come riportarti all’attenzione della vita.
Quello di Forgione è un romanzo che invoca l’attesa, lì dove la frenesia dell’esistenza ci ha tolto l’umanità, la pazienza di attendere che il tempo dia luogo ad altre forme di bellezza. E allora vengano gli anni felini, colmi di meraviglia e parole nuove, venga il momento di soffrire e immaginare quale tipo di vertigine ci regalerà il prossimo salto.
Alessio Forgione è nato a Napoli nel 1986. Scrive perché ama leggere e ama leggere perché crede che una sola vita non sia abbastanza. Il suo romanzo d’esordio, Napoli mon amour (2018), ha vinto il premio Giuseppe Berto 2019, il Premio Intersezioni Italia-Russia 2019, il Prix Méditerranée Étranger 2021, è tradotto in russo e francese, e in corso di traduzione in Grecia. Giovanissimi (2020) è stato selezionato nella dozzina del premio Strega 2020 ed è in corso di traduzione in Francia. È stato tradotto in Francia dove ha vinto il Prix ESABAC des lycéens 2023.
Presso La nave di Teseo ha pubblicato Il nostro meglio (2021), ora tradotto in Francia.
Alessia Aulicino, nata a Napoli nel 1992, oggi vive tra Caserta e Torino. Giornalista, junior editor e ghostwriter freelance, collabora con il Gruppo Feltrinelli e ha lavorato per Scuola Holden.