Il Placito Capuano
Gariperto, Mari e Teodemondo testimoniando in favore dell’abate di Montecassino: “Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni li possette parte sancti Benedicti”, avrebbero mai immaginato la lunga storia della nostra lingua con il loro ‘balbettante italiano’?
Eppure questo breve testo in volgare è a fondamento della nostra identità, non solo linguistica.
Ed è nella nostra città che questo ‘monumento’ viene registrato in un atto notarile, il Placito di Capua, redatto in latino, ma con la suddetta formula del giuramento in volgare.
Il documento racconta di una vertenza sorta tra il laico Rodelgrimo di Aquino e l’abate Aligerno di Montecassino, per una questione di proprietà terriera.
Nel processo celebrato a Capua, il 30 marzo 960, dinanzi allacorte del Principe longobardo, l’abate contesta a Rodelgrimo il possesso di alcune terre da lui usurpate e chiama a discolpa, per confermare i diritti del Monastero, i tre testimoni che giuranoe si esprimono in una ‘forma volgare’ elaborata dal giudice di Capua, Arechisi.
Rodelgrimo che riferisce di aver ricevuto in eredità dai suoi avi quelle terre, senza produrre alcuna prova, è costretto ad accettare l’istituto dell’usucapione, e quindi a soccombere dinanzi al diritto di S. Benedetto!
In questa ‘carta’, come in tutte le prime manifestazioni scritte del volgare, è il notaio, il giudice il copista ad accogliere, nel repertorio scritto latino i primi segni del parlato romanzo, nobilitandolo in una forma latina, ma con un linguaggio semplice e piano.
Il Placito di Capua sarà riconosciuto primo documento ufficiale della lingua italiana, perché l’uso del volgare è consapevolmente e esplicitamente distinto dal latino e articolato in una frase sintatticamente autosufficiente. Inoltre, questo uso evidenzia una volontà di dare una registrazione fedele della realtà, sia nell’atto scritto che nella lettura che se ne darà, nella lingua comprensibile all’uditore o al lettore.
Non è un caso, infine, che il primo documento dell’uso ufficiale di un volgare italiano ci venga da un Principato longobardo del Sud della penisola (quale allora era Capua), dove la vita politica durava autonoma e ininterrotta da ben quattro secoli. In quel momento “soli…..tra i dominatori del nostro Mezzogiorno, i Longobardi della Campania parlavano la lingua delle popolazioni locali.”
Anna Solari Garofano Venosta
Premio Placito Capuano
Il “Placito Capuano” è unanimemente riconosciuto dagli storici come il primo documento scritto del volgare italiano, che vede nella Capua Longobarda del 960 la sua genesi.
Il Premio Placito Capuano, istituito nel decennale del festival, (2014) e che da allora connota ogni edizione de Il Luogo della Lingua, viene assegnato a:
una personalità del mondo culturale che attraverso il suo lavoro, in vari modi e con vari linguaggi e declinazioni, dia un contributo importante alla diffusione della lettura in Italia.
Il premio sin dalla sua prima edizione è stato realizzato dall’artista Roberto Branco, che si è sempre ispirato alla famosa frase contenuta nel Placito, che documenta il primo “volgare” scritto in un documento ufficiale:
«Sao ko kelle terre, per kelle fini que ki contene, trenta anni le possette parte Sancti Benedicti.» (Capua, marzo 960 d.C.)
Hanno ricevuto il Premio:
la scrittrice Dacia Maraini (2014)
il regista Matteo Garrone (2015)
l’attore e scrittore Marco D’Amore (2016)
lo scrittore Maurizio de Giovanni (2017)
lo scrittore Lorenzo Marone (2018)
il regista Saverio Costanzo (2019)
il cantautore, poeta e scrittore Roberto Vecchioni (2020)
il linguista Domenico Proietti (2022)
lo scrittore Giuseppe Montesano (2023)
il giornalista e conduttore televisivo Sigfrido Ranucci (2024)