Real Belvedere di San Leucio
Tutto ebbe inizio nel 1773 quando il giovane Re Ferdinando IV di Borbone, che amava partecipare a battute di caccia, fece recintare il bosco attorno alla ricca residenza rinascimentale dei principi Acquaviva: il Belvedere a San Leucio. Sempre più attratto da questo luogo immerso nella natura e lontano dal peso e dagli impegni della vita di corte, Ferdinando, preoccupato per il futuro dei tanti fanciulli del borgo privi di educazione e istruzione, fece instaurare la prima scuola obbligatoria gratuita d’Italia. Per procurare poi a quei ragazzi, una volta istruiti, un lavoro dal quale trarre sostentamento, pensò all’introduzione di una manifattura di sete grezze. Giunsero così da lontano i maggiori specialisti nell’arte della seta, per insegnarne la lavorazione, costruire le macchine e gestire la produzione; molti, al contrario, partirono da San Leucio per i primi stage all’estero, tornando ricchi di conoscenze da condividere. Incentivò la coltivazione del gelso e la bachicoltura per la produzione del baco da seta, creando così l’intero ciclo di produzione. La manifattura della seta consentiva di impiegare al tempo stesso maestranze femminili e maschili, per questo il Re regalò ad ogni famiglia un telaio da collocare al centro della casa perché ogni famiglia potesse amare e tramandare l’arte della seta.Le abitazioni per gli operai furono progettate tenendo presente tutte le regole urbanistiche dell’epoca, per far sì che durassero nel tempo, ed infatti ancora oggi sono abitate.
Nel 1789 la Manifattura reale diventò una entità autonoma, una sorta di Stato nello Stato, attraverso la promulgazione di un apposito codice di leggi ispirato al programma di rinnovamento sociale di stampo illuministico. Si trattò di un esperimento di assoluta avanguardia nel mondo, un modello di giustizia e di equità sociale raro nelle nazioni del XVIII secolo e non più ripetuto così genuinamente nemmeno nelle successive rivoluzioni francese e marxista. I lavoratori delle seterie usufruivano di diversi benefici: veniva loro assegnata una casa all’interno della colonia, usufruivano di formazione gratuita (qui il re istituì la prima scuola dell’obbligo d’Italia femminile e maschile che includeva discipline professionali) e di un orario massimo di lavoro (11 ore, a fronte delle 14 del resto d’Europa). Le donne ricevevano una dote dal re per sposare un appartenente della colonia, e a disposizione di tutti vi era una cassa comune “di carità”, dove ognuno versava una parte dei propri guadagni. Non c’era nessuna differenza tra gli individui qualunque fosse il lavoro svolto, l’uomo e la donna godevano di una totale parità in un sistema che faceva perno esclusivamente sulla meritocrazia. Era abolita la proprietà privata, garantita l’assistenza agli anziani e agli infermi, ed era esaltato il valore della fratellanza.
Il Codice legislativo si rivolge ad una società già esistente, adattandosi ad essa e, addirittura, non ne fissa un’immagine definitiva ed immobile nel tempo, ma tiene conto della sua naturale evoluzione, prevedendone “nuovi bisogni”. In questa visione dinamica s’inserisce il tentativo di espansione del nucleo iniziale, rappresentato dal piano di ampliamento del villaggio manifatturiero nella grande città di Ferdinandopoli.
La città era concepita su pianta circolare con una grande piazza al centro e un sistema stradale radiale. L’asse simbolico principale della città ipotizzata allineava una grandiosa Cattedrale, la Piazza circolare ed un teatro, confluendo nel centro del complesso Manifatturiero che, sullo sfondo della collina, costituiva la quinta architettonica dominante sulla nuova scena urbana. Esecutore materiale del piano e di tutte le precedenti opere realizzate a San Leucio è Francesco Collecini, primo aiutante del ben più famoso Luigi Vanvitelli. Alla morte di quest’ultimo egli rimane, insieme a Carlo Vanvitelli, l’architetto e la figura più autorevole nell’ambiente napoletano. In seguito alla Restaurazione il progetto della neo-città venne accantonato, anche se si continuarono ad ampliare industrie ed edifici, tra cui il Palazzo del Belvedere. Il progetto utopico del re Ferdinando finì con l’unità d’Italia quando tutto venne inglobato nel demanio statale, e lo speciale regime comunitario fu abolito, ma tradizione e qualità nelle produzioni di tessuti serici sono rimaste fino ad oggi.
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