Capua fortificata
Fin dalle origini, la città di Capua è stata considerata la Chiave del Regno, dal punto di vista militare, sul motto cittadino “Est Capua Regni Clavis”. La rilevanza strategica della posizione geografica della città ha supportato l’economia dei luoghi e al contempo ha imposto al territorio un assetto difensivo nel corso dei secoli.
L’odierna Capua trae origine da Casilinum, borgo sannita sorto in un’ansa del fiume Volturno che per secoli ha rappresentato il porto della Capua romana. Casilinum rappresentò, in epoca romana, il presidio militare a controllo del vasto territorio che, dai monti Tifatini, si estendeva fino alla foce del fiume.
Risalgono all’Alto Medioevo le prime notizie riguardo fortificazioni militari in difesa del ponte di Casilinum, ma l’ampliamento della città ebbe inizio a partire dalla distruzione saracena della Capua romana (intorno all’anno 841), quando si predilesse il borgo naturalmente protetto dal fiume alla ricostruzione della città ormai distrutta. L’impianto urbano della nuova Capua si conformò allo stato naturale dei terreni dotandosi di mura difensive sul fronte meridionale, protetta a nord dall’alveo fluviale. Da una Cronaca di Alessandro di Telese Capua nel 1140 risultava essere una ‘città molto grande per ampiezza, di mura e di torri (…) ben munita’. A Federico II di Svevia si deve la realizzazione del Castrum Turrium Capuae (o porta di Roma) nel 1234, un bastione con due torri a protezione della città sul fronte settentrionale. Esso costituiva un posto doganale e un presidio militare dal forte valore simbolico, rappresentando ai viaggiatori provenienti dallo Stato Pontificio la grandezza del potere dell’impero federiciano.
Il rafforzamento del ruolo militare di Capua si ebbe durante il Viceregno spagnolo, quando Don Pedro di Toledo impose il rifacimento della cinta muraria, mediante l’introduzione di un sistema di bastioni che chiudevano i fronti settentrionali e meridionali della città. La realizzazione del Castello di Carlo V e l’introduzione delle armi da fuoco, nel XVI secolo, portarono ad un profondo rimaneggiamento della porta di Roma, privata dell’arco trionfale e ridotta in altezza, per consentire l’uso dell’artiglieria dal forte. Don Pedro di Toledo dispose la costruzione di nuove opere di fortificazione che comprendessero entro il loro perimetro un territorio più ampio. Complice la diffusione della polvere da sparo che incrementava la gittata e l’azione dirompente dei proiettili, fu necessario un generale adeguamento dei piani di fortificazione. La città, pertanto, modificò il proprio assetto dotandosi di nuovi fronti difensivi proiettati a ventaglio verso Napoli attraverso cinque speroni (originariamente tre, poi portati a cinque durante il regno di Filippo II), di nuove aree da edificare e di un nuovo fulcro difensivo.
Il castello fu edificato lungo la riva sinistra del Volturno nei pressi del ponte romano: tale ubicazione permetteva di tenere sotto tiro i due principali ingressi alla città, porta Roma e porta Napoli, posti agli estremi della via Appia che attraversava il centro abitato. Costruito tra il 1543 e il 1552 su progetto dell’architetto Gian Giacomo dell’Acaya e sotto la direzione dell’ingegnere Ambrogio Attendolo, il castello ricorda il forte aquilano, con pianta su matrice quadrata, caratterizzata da quattro bastioni pentagonali, in corrispondenza dei vertici, provvisti di orecchioni. Anche l’impianto architettonico medioevale subì delle alterazioni che riguardarono principalmente la riduzione dell’altezza di torri e campanili, il rinforzo dei muri di cinta e lo sventramento dei borghi medievali extra-moenia per consentire l’ampliamento delle mura e la realizzazione di fossati e spianate contro gli incendi.
Col passaggio dal dominio spagnolo a quello austriaco, maturò una nuova fase di potenziamento militare dell’intera città soprattutto lungo il fronte sul Volturno sprovvisto di terrapieni e bastioni. È attestata in questo periodo l’attività dell’ingegnere e trattatista di architettura militare Jean Antoine d’Hebort inventore delle flèches, ossia i ridotti avanzati a forma di frecce a protezione degli speroni costruiti in epoca spagnola che caratterizzarono le planimetrie di Capua fino al XIX secolo. Ancora una volta, come mostrato nella planimetria del 1729 dello stesso d’Hebort e pubblicata dallo storico Francesco Granata, la forma urbanistica segnata dalle flèches e da terrapieni, palizzate, rivellini, piazze coperte, bastioni, fossi e muraglie, fu assoggettata all’avanzamento delle tecniche belliche. Nel 1732 il piano di Vienna per la città di Capua dispose nuovi interventi di rinforzo difensivo nella piazzaforte che furono solamente in parte realizzati. La resa della cittadella alle truppe di Carlo di Borbone nel 1734 segnò una nuova fase della storia urbanistica e architettonica di Capua che fu oggetto di nuovi potenziamenti militari data anche la vicinanza alla Villa Reale di Caserta dove i Borbone avrebbero voluto insediare la nuova capitale del regno.
Consolidatosi il potere dei Borbone e acquisito il pieno riconoscimento della sovranità sul Regno di Napoli, la piazza di Capua perse parte della sua importanza strategica, vedendo lentamente trasformare il suo ruolo da centro operativo a polo logistico e di supporto. All’interno della città, infatti, i Borbone decisero di rendere più massiccia la presenza militare dedicando nuovi spazi sia per l’ordinario contingentamento del presidio che per soggiorni di cura. In tale ottica si giustificano l’insediamento del Sifilicomio entro un ampio palazzo nel cuore dell’abitato, l’insediamento del Quartiere della Rogna, nel piccolo monastero cistercense della Chiesa di San Martino alla Giudea e la conversione del castello normanno delle Pietre in ospedale militare. Inoltre nel 1757, in un’area prossima al castello, fu fondato il Gran Quartiere delle truppe borboniche per offrire ricovero alle milizie di passaggio.
Durante il decennio francese, quando in tutto il Regno di Napoli furono soppressi alcuni ordini religiosi, i numerosi beni ecclesiastici che occupavano il centro antico di Capua divennero demanio della corona e furono convertiti in aree militari. La trasformazione funzionale dei conventi in caserme, favorita dalla compatibilità tipologico-funzionale, consentì di non alterare l’immagine della città pur annullando molti riferimenti simbolici. Negli anni post-restaurazione i numerosi interventi che interessarono le caserme, gli ospedali, i magazzini, la cinta bastionata e i ponti levatoi verso Napoli, testimoniano l’importanza ancora attribuita dai Borbone al potenziamento difensivo di Capua. Nel 1815 fu progettata la trasformazione del complesso conventuale di San Giovanni nella Scuola di Applicazione del Genio e di Artiglieria sulla scorta di una proposta già avviata dai francesi qualche anno prima. Furono inoltre acquisiti vasti territori extra-urbani per istituire un Campo d’Istruzione. Alla metà del XIX secolo, mentre nel Casertano fiorivano le industrie tessili e i territori del basso Volturno
parzialmente bonificati, Capua continuò ad affermarsi quale centro militare: nel 1856 il Pirotecnico napoletano di Posillipo fu ivi trasferito potenziando la produzione bellica della città.
Un momento importante per la storia urbanistica di Capua fu L’Unità d’Italia che ne ridusse progressivamente l’importanza come sito di accasermaggio, sia per le mutate esigenze logistiche dell’Esercito Italiano, sia per l’elevato costo di mantenimento di strutture spesso adattate all’uso militare e del tutto obsolete. Tali aspetti hanno incentivato la costruzione di nuovi complessi edilizi generalmente all’esterno del centro urbano se non addirittura in luoghi del tutto isolati. Col progressivo abbandono dell’area interna alla cinta bastionata da parte dell’Esercito, crebbe la concentrazione di fabbriche a uso militare sottoutilizzate o dismesse e mai riconvertite, che comunque sono rimaste, in gran parte, nella disponibilità del Demanio Militare.